«Uno dei maggiori protagonisti dei più gloriosi episodi della storia moderna delle neuroscienze». Così A.D. Smith ha definito Rita Levi Montalcini sulla prestigiosa rivista «Neuroscience», in occasione del conferimento alla scienziata del premio Nobel per la medicina. E pensare che , da studentessa, era stata per qualche anno parte di quella schiera di allievi che il maestro, Giuseppe Levi, chiamava gli «impiastri».
Eppure, questa giovane «sensibilissima, fragilissima, resistentissima», avrebbe con gli anni dato prova delle sue doti guadagnando fama mondiale con le sue ricerche. Una «straordinaria carriera di neurobiologa», la sua: una carriera – come avrebbe poi sottolineato Salvador Luria – «che le valse onori e riconoscimenti di ogni sorta, nonché l’appellativo di regina per l’eleganza impeccabile e i modi regali». [Luria, 1984, p.53]
Il riconoscimento maggiore arriva con il Nobel del 1986, ottenuto con Stanley Cohen per le ricerche sul GNF. Nel suo discorso di presentazione presso il Karolinska Institute , Kerstin Hall presenta al pubblico i risultati del lavoro di un duetto di eccellenza: «tutto iniziò» con l’arrivo della scienziata italiana nel laboratorio di St.Louis. A Rita Levi , «grande biologa dello sviluppo», spetta il merito di «aver mostrato il meccanismo di regolazione della crescita dei nervi», mentre a Stanley Cohen, «brillante biochimico», quello di aver isolato i primi fattori di crescita.
Così, elegantissima, la «dama delle cellule» sarebbe salita sul palco dell’Accademia svedese a ritirare il più prestigioso dei premi: una «piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa». Vero e proprio esempio «di come un abile sperimentatore può creare concetti partendo da un apparente caos».
Alberto Oliverio, suo collaboratore, allievo di Bovet e professore di psicobiologia alla Sapienza di Roma, ce ne fornisce un profilo con queste parole: «Ho incontrato per la prima volta Rita Levi Montalcini nel 1964 quando nell’Istituto Superiore di Sanità lavoravano due premi Nobel, Daniel Bovet della cui equipe ero appena entrato a far parte, e Boris Chain, premiato per i suoi studi sulle penicilline sintetiche. A quei tempi ero un giovane laureato e restai sorpreso, in occasione del primo incontro per discutere i risultati di una ricerca sul fattore di crescita del sistema nervoso, dall’eleganza e dalla gentilezza di Rita Levi Montalcini, già molto nota per i suoi studi sul sistema nervoso. C’era un forte contrasto tra l’eleganza dei vestiti e del suo bracciale, che ha sempre indossato insieme ad una spilla che appare in ogni sua fotografia, la semplicità del laboratorio situato in un semi-interrato, e la decisione con cui commentava i risultati di un breve esperimento. Da allora gli incontri si sono ripetuti, prima a Saint Louis, poi nei lavoratori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, poi all’EBRI, l’istituto che ha fondato superando le incredibili difficoltà e pastoie della burocrazia italiana. Col passare degli anni l’eleganza di Rita non è mutata e, soprattutto, non è cambiato il suo entusiasmo nei confronti della scienza: sin quando la vista glielo ha consentito ha scrutato nell’oculare del suo microscopio alla ricerca degli effetti dell’NGF e di altri fattori neurotrofici sul sistema nervoso. Con la stessa ostinazione ha letto, attraverso un sistema di lenti di ingrandimento, testi scientifici e articoli generali, in gran parte legati alle ricadute filosofiche e sociali della scienza. Malgrado i nostri interessi si fossero diversificati, Rita era sempre curiosa di ciò che facevo e di ciò che facevano gli altri: e inoltre, aveva sviluppato con gli anni una incredibile capacità lavorativa, interessi, come quelli nei riguardi della diffusione della cultura scientifica in Africa, che la riempivano d’entusiasmo e per cui lavorava intensamente. Ricordo che lamentandosi, non senza un certo vezzo, che i suoi giovani collaboratori dimostrassero una scarsa resistenza e si stancassero facilmente notò che “i giovani sono ancora dei dilettanti della vita, noi che siamo arrivati a questa età siamo invece dei professionisti: non soltanto sappiamo amministrarci ma siamo anche resistenti"».
Enrico Alleva, direttore della sezione di neuroscienze del comportamento dell'Istituto superiore di sanità, ci fornisce con queste parole un ricordo del suo incontro con la scienziata: «Ho conosciuto da adolescente Rita Levi-Montalcini: per i casi (fortuiti o meglio fortunati) della vita, abitando lei nei pressi della casa dei miei genitori, un rapace diurno, un nibbio, che avevo riscattato e curato in quanto ferito, si era infatti posato sul suo balcone. Discutemmo dei comportamenti di gioco dei vertebrati, e delle relative forme e funzioni dei loro cervelli, argomento del quale ero allora quasi completamente digiuno. Iniziò allora una sottile complicità, una forma di educazione atipica: nella quale Rita, che faceva la pendolare tra gli Stati Uniti e Roma, mi suggeriva letture a carattere soprattutto scientifico (ma anche Arthur Koestler) che divenivano argomenti dei successivi incontri e discussioni. Mi forniva articoli scientifici, mi invitava regolarmente ai seminari del suo attivissimo laboratorio romano.
Quando, dopo la laurea, mi presentai al concorso per il Perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, lei mi scrisse una calorosa lettera di presentazione (ne erano richieste tre, le altre me le scrissero Giuseppe Montalenti e Daniel Bovet). I nostri colloqui scientifici proseguiranno con regolarità, ma fu solo negli anni ottanta che ci trovammo a condurre assieme, dietro sua ispirazione, alcuni fortunati esperimenti che dimostrarono come il
nerve growth factor (quella molecola al cui studio lei ha dedicato, e dedica, una vita di approfondimento) esercitasse un ruolo sul comportamento animale e umano, essendo coinvolto in fenomeni di stress.
Nel corso di questi studi conobbi e apprezzai il suo collaboratore Luigi Aloe, con cui tuttora mi legano amicizia e stima scientifica.
Discutere, ragionare gli esperimenti o scrivere un lavoro scientifico assieme a Rita è un'esperienza tanto peculiare quanto affascinante. Mi considero davvero fortunato per averne avuto la possibilità, e da così tanto giovane. Il suo intuito, la sua incredibile dedizione totale alla materia, quasi la compenetrano fisicamente nella neurobiologia, disciplina che ha contribuito lei stessa a fondare».