Nissim Momigliano Luciana

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Luciana Nissim, 1940 [Nissim Momigliano, 2007, p. 97]

Nata: 1919 (Torino)

Morta: 1 Dicembre 1998 (Milano)

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Luciana Nissim nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebraica originaria di Biella. Nella cittadina piemontese, all’epoca chiamata la «Manchester d’Italia» vivevano circa quarantamila abitanti tra cui alcune famiglie di ebrei  «per un totale di una quarantina di persone» [Nissim Momigliano, 1989,  p. 3]. Luciana è la primogenita di tre sorelle; il padre, laureato in giurisprudenza, era rappresentante di lana greggia: «non guadagnava  molto» – scrive la Nissim ricordando i momenti difficili della crisi economica del 1929, quando la madre le inculca il valore fondamentale dello studio [ibidem, p. 4]. Luciana, che impara a leggere a cinque anni e si iscrive alla scuola elementare direttamente alla seconda classe, è una studentessa modello: sempre tra le prime sia alle medie sia al liceo. Dal 1925 al 1936 – anni del «pieno rigoglio della dittatura fascista» –  prende parte come la maggioranza dei ragazzi dell’epoca alle riunioni, ai saggi e alle gare sportive: «mio padre – scrive – che era stato attivo nel partito liberale dopo la grande guerra (in cui era stato ufficiale di artiglieria, e in cui era morto in combattimento suo fratello primogenito), una volta era stato picchiato dai fascisti e non si occupava più di politica – ma quando nel 1933 il partito fascista offrì per l’ultima volta alla popolazione di iscriversi al partito, anche lui aderì. La tessera fascista era una vera e propria ‘tessera del pane’, e lui non voleva mettere in difficoltà le sue figlie » [ibidem, p. 5].
Dopo la licenza liceale, conseguita nel 1937, Luciana decide, con l’appoggio dei genitori, di iscriversi a medicina: si trasferisce così a Torino. Sta seguendo le lezioni del primo anno quando, siamo nel 1938 , vengono emanate le leggi razziali: i ragazzi ebrei non possono più frequentare le scuole pubbliche, ma viene consentito a quelli già iscritti all’università di continuare i propri studi fino al conseguimento della laurea. Luciana riesce così a completare la sua formazione e a laurearsi in medicina il 20 luglio del 1943. Questa la memoria degli anni universitari lasciataci dalla Nissim: «Non ricordo nulla in quegli anni che mi abbia particolarmente ferito, anzi! Quando detti l’esame di anatomia, passando per ultima insieme all’unico compagno ebreo, elegantina nel grazioso vestito che avevo acquistato per l’occasione (invece gli altri compagni dovevano sostenere gli esami nelle loro grottesche divise fasciste), il professore, che era diventato titolare della cattedra grazie alla cacciata del celebre istologo Giuseppe Levi, mi accolse dicendomi: ‘Signorina Nissim, dulcis in fundo...’ e mi dette il massimo dei voti» [ibidem, p.6].
Già nel corso degli studi universitari e più in particolare immediatamente dopo il conseguimento della laurea, Luciana si lega a un gruppo di giovani antifascisti e frequenta nel tempo libero i ragazzi ebrei che si riuniscono nella biblioteca della scuola ebraica di Torino per discutere di politica, nonché a progettare la resistenza al fascismo o l’emigrazione in Palestina. Tra loro: Franco Momigliano, Primo Levi, Giorgio Diena, Emanuele ed Ennio Artom, Livio Norzi, Giorgio Lattes e Alberto Salmoni.
È a Courmayeur, mentre insieme all’amica Vanda Maestro sta trascorrendo una vacanza premio per la laurea appena conseguita, quando viene informata dalla cameriera dell’albergo delle dimissioni di Mussolini. È  il 25 luglio del ’43. Luciana e Vanda tornano felici a Torino, ma la loro gioia è breve: al posto di Mussolini arriva Badoglio e la guerra continua. L’8 settembre, quando l’Italia si arrende agli alleati e il paese viene occupato dai tedeschi, la famiglia Nissim deve mettersi in salvo. Insieme ai famigliari Luciana si rifugia in un paesino della Val d’Aosta, Brusson, dove, tra i tanti lì riparati (sono ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia, giovani che cercavano di sfuggire all’arruolamento fascista, politici, scrittori, giornalisti che si erano compromessi in quei due mesi, soldati che avevano lasciato l’esercito), ritrova l’amico torinese Primo Levi. Con lui, Vanda Maestro e altri due comuni amici, si unisce a «un gruppetto di ex militari che si stava raccogliendo per cominciare la resistenza contro i tedeschi» e che, nel settembre del 1943, avevano deciso di lasciare il capoluogo piemontese per le montagne della Val d’Aosta, dove ad Amay raggiungono le prime formazioni partigiane. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre le milizie fasciste guidate dal comandante Ferro iniziano un rastrellamento che porta all’arresto di molti uomini tra cui anche il gruppo dei giovani torinesi. Passato un mese nel carcere di Aosta, dove rifiuta l’aiuto del comandante Ferro, che le propone di fuggire  - «E io con la retorica del caso», ricorda, «risposi: ‘Con un fascista giammai!» -  Luciana viene tradotta nel campo di Fossoli. Di lì, il 22 febbraio del 1944, parte con un convoglio di circa seicento persone con destinazione Auschwitz. Vi giungerà il 26 di febbraio. «Voglio ancora raccontarvi questo: – dichiara in Una famiglia ebraica tra le due guerre - sul treno con i vagoni piombati in cui fummo caricati il 22 febbraio 1944, io vidi che su un cartello c’era un’indicazione, «Auschwitz», nome che non ci diceva niente allora... Prima di uscire dall’Italia, al Brennero, gettai dalla feritoia del mio vagone due biglietti indirizzati a degli amici di Biella e a un mio ex compagno di Università, in cui dicevo che ci stavano deportando, e li salutavo per l’ultima volta...Questi biglietti furono raccolti da qualcuno e spediti, e raggiunsero i loro destinatari» [ibidem, p.8].
Insieme a lei in quel tragico viaggio sono gli amici Primo Levi, Vanda Maestro e Franco Sacerdoti; solo Luciana e Levi torneranno. È  proprio grazie alla laurea in medicina che la Nissim godrà ad Auschwitz di una situazione di relativo privilegio: in quanto medico vivrà in condizioni materiali diverse dagli altri internati. Al momento della rasatura si è fatta suggerire da una compagna una sola frase in tedesco che riesce tempestivamente a pronunciare: «Ich bin Aertzin» (sono dottoressa in medicina):  viene così assegnata alla infermeria del campo, e in un secondo momento a quella di un campo di lavoro (una fabbrica di munizioni) a Hessisch Lichtenau vicino a Kassel. Di qui, mentre gli americani avanzano, nell’aprile del 1945 riesce a fuggire. Rientrerà in Italia solo nel luglio del 1945 all’annuncio del governo Parri. L’amica Vanda è morta, nell’ottobre del 1944, in una delle ultime selezioni effettuate a Birkenau: prima di morire le ha strappato la promessa di chiamare con il suo nome una figlia, quando l’avrà. La Nissim tiene fede alla parola data: ma la sua Vanda morirà nell’estate del 1947 durante il parto in cui lei stessa rischia di perdere la vita. Nel novembre del 1946 si è sposata con Franco Momigliano, il giovane cui era legata prima della deportazione e che, allievo di Einaudi, diventerà un celebre economista.  
Due mesi dopo il suo ritorno in Italia, Luciana Nissim entra nella clinica pediatrica di Torino: «ero uscita viva dallo sterminio – scrive – anche grazie al fatto che ero laureata in medicina, ma il mio tirocinio di giovane medico si era svolto nell’orrore e nella disperazione assoluta di Birkenau. Ora però la guerra crudele era finita, e come tutti, almeno in quei primi mesi di pace ero piena di slanci, di speranza, e di voglia di ricostruire». Sull’esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz  pubblica subito, nel 1946, presso l’editore torinese Ramella, il libro Donne contro il mostro, scritto con Pelagia Lewinska. Il racconto di Luciana porta il titolo dostoevskijano Ricordi della casa dei morti: è uno dei primi scritti sulla realtà dei campi nazisti, seguito nel 1947 dal più celebre Se questo è un uomo dell’amico Primo Levi.  
«Entriamo in un portone - scrive Luciana -: sul frontone c’è scritto: ‘Arbeit mach frei’: il lavoro rende liberi [...] – Ed è così che il destino inesorabile di Auschwitz comincia a svolgersi anche per noi, automaticamente, indipendentemente dalle nostre volontà. Tutto avviene ormai come se noi non fossimo più uomini: dei fili ignoti ci muovono, e noi obbediamo docili. Avevamo perduto la libertà, e ora, a poco a poco, perderemo la nostra individualità, ogni indipendenza, e poi la nostra umanità, il coraggio, la dignità...Tutto si svolge liscio, eguale a se stesso, sotto gli auspici dell’organizzazione tedesca; non c’è pathos, non c’è sentimento; c’è solo orrore» [Nissim Momigliano, 2007, pp.39-40].
Il lavoro come pediatra rappresenterà per Luciana Nissim il «modo più reale» di onorare la vita e, in particolare, di mantenere viva la memoria dei tanti bambini che la guerra hitleriana ha distrutto senza pietà. Nella clinica torinese a fianco del prof. Guassardo, un medico che, come lei stessa dirà, «capiva e ascoltava le mamme», scopre il valore dell’ascolto rispettoso. È  proprio su questo tema che Luciana Nissim passerà dall’esperienza della pediatria a quella della psicoanalisi, a cui si dedicherà negli anni seguenti fino alla morte.
Trasferitasi a Milano, mentre è impegnata nella direzione dell’asilo istituito ad Ivrea da Adriano Olivetti Luciana si avvicina alla psicoanalisi e si occupa della sua formazione intraprendendo due analisi: la prima, dal 1956 al 1960, con Franco Fornari e la seconda con Cesare Musatti. «Un bel giorno – racconta in una intervista – vado da Musatti per iniziare il training: la sera di quello stesso giorno, era la prima seduta, è stato concepito Alberto, mio figlio». [Nissim Momigliano, intervista di Guadagni, 2001, p.287].
Nel 1965 diviene membro associato della Società Psicoanalitica Italiana, nel 1973 membro ordinario e nel 1978 analista didatta. La sua impostazione, clinica e teorica, è di stampo kleiniano, ma pian piano Luciana Nissim abbandona alcuni concetti e interpretazioni della grande psicoanalista inglese. In Un legato molto importante: la gratitudine del 1983, mentre rende omaggio alla Klein, invita a considerare i maestri come momenti fecondi della propria ricerca personale. Nel suo specifico caso, la sua attenzione si è spostata sulla mente dell’analista e sull’ascolto del paziente: a partire dalla propria esperienza terapeutica la Nissim ha elaborato nuovi aspetti tecnici, centrati su quello che le piace chiamare semplicemente il «dialogo analitico». Forse «troppo franca», come lei stessa si definisce, per essere una efficace psicoanalista, esprime tutta la sua sicurezza e originalità nella funzione di supervisore: «Se ho lasciato una traccia, come analista, è perché ho introdotto l’umiltà nell’ascolto della risposta del paziente, come commento a ciò che avviene nell’hic et nunc della seduta. Ho cercato di insegnare ai colleghi più giovani a prendersi l’altro sulle spalle, anziché lasciarlo a trent’anni fa con la sua mamma o all’altro ieri con la sua fidanzata.»  Con la relazione Paziente e analista al lavoro: una sonata a quattro mani, presentata nel novembre 1983 al Centro milanese per la psicoanalisi, Luciana Nissim sottolinea, tramite la metafora riportata nel titolo, l’importanza del lavoro comune richiamando l’attenzione su quello che succede tra paziente e analista piuttosto che nel paziente. L’analisi, dunque, come un’avventura a due, sulla linea dell’ammirato Bion cui si deve, secondo la Nissim, «l’idea di personalizzazione e intimizzazione» del processo analitico [ibidem, p.288]. Lei stessa si definisce ora «una Klein rivisitata da Bion», ma, come ha fatto notare Andreina Robutti, la sua prospettiva, pur prendendo spunto da molti autori, mantiene una impronta del tutto originale. «Una sera – racconta la Robutti – Luciana ci ha detto scherzosa: ‘Sapete perché le analisi sono così lunghe? Perché il paziente ci mette tantissimo tempo a vincere le resistenze dell’analista!» [Robutti,  2001, pp. VII-XV]
Luciana Nissim Momigliano muore a Milano il 1° dicembre del 1998.
Luciana Nissim Momigliano è nota per la pubblicazione di una delle prime testimonianze sulla drammatica esperienza dei lager nazisti. Esce infatti nel 1946, presso l’editore torinese Ramella Donne contro il mostro. Anche se nella copertina compare solo il nome della prima delle due autrici: Pelagia Lewinska, cui si deve lo scritto Venti mesi ad Oswiecim, il volume riporta anche i Ricordi della casa dei morti scritti da Luciana Nissim e ora ripubblicati  autonomamente (Firenze, Giuntina, 2007).
Nell’ambito della storia della psicanalisi italiana la Nissim ha perseguito un suo percorso originale, particolarmente formulato nei suoi scritti a partire dagli anni Ottanta del Novecento e in qualche modo parallelo a quanto nella psicoanalisi americana, da lei non frequentata, veniva impostandosi proprio negli stessi anni (“psicoanalisi relazionale”). È tra i pochi analisti italiani citati nelle riviste di lingua inglese.
«Siamo arrivate da Auschwitz nel campo di Hessisch-Lichtenau per essere utilizzate come manodopera schiava in una delle più grosse fabbriche di munizioni, nel settembre del 1944. Il comandante Willy Schaeffer ci fece un discorso. Al suo fianco c’erano una donna piccola, ma non esile, dai capelli neri e un’altra donna magra dai capelli biondi. Entrambe portavano un camice bianco. La prima era Luciana Nissim. Ci fu detto che era la dottoressa del nostro campo  che l’altra donna era l’infermiera. Non ricordo il suo nome, ma solo che era polacca. Luciana era italiana, parlava bene il francese e un po’ di tedesco.» [Levi, 2007, p 115]
Dall’intervista di Anna Maria Guadagni: «Luciana Nissim non si è mai riconosciuta nei racconti di Primo Levi, che notoriamente aveva l’abitudine di ritrarre gli amici: ‘Ma, da qualche parte, nel Sistema periodico, c’è una dottoressa che non vuole essere identificata come ebrea: forse sono io...’. fino a due anni fa, non aveva mai reso la sua testimonianza di ex deportata, 'perché Primo parlava per tutti noi'. Poi si è presentata al Cdec, a fare il suo dovere. Solo l’anno scorso è tornata a Auschwitz».  [Nissim Momigliano, intervista di Guadagni, 2001, p. 286]
«Chi ha conosciuto Luciana Nissim non può riconoscere che, ascoltandola, si rimaneva subito colpiti dalla sua libertà di pensiero. Luciana  Nissim faceva parte di quel gruppo di analisti arrivati alla psicoanalisi, piuttosto che per una mera scelta professionale, attraverso la lotta per una cultura laica e moderna, in quel movimento che ha preso avvio nella Resistenza, che ha lottato per la libertà politica e che si è sviluppato nella battaglia culturale del dopoguerra» [Capozzi, 2002, p. 156]
Così la ricorda oggi Andreina Robutti: «Un grande merito di Luciana Nissim è quello di aver avuto il coraggio di un pensiero originale rimanendo però sempre in contatto con gli altri, prima di tutto con i suoi pazienti, dai quali ha continuato ad imparare, e poi con i colleghi e la comunità psicoanalitica, dalla quale ha sempre attinto e alla quale ha sempre comunicato, con sincero rigore, le sue riflessioni e le convinzioni che andava via via maturando» [Robutti, 2001, p.XIV]

L. Nissim Momigliano, L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001 (contiene scritti dal 1974 al 1994)

L. Nissim Momigliano, Una famiglia ebraica tra le due guerre (1989), in L. Nissim Momigliano, L’ascolto rispettoso, op. cit., 2001

L. Nissim Momigliano, Ricordi della casa dei morti e altri scritti, a cura di A. Chiappano e con l'introduzione di A. Cavaglion, Firenze, La Giuntina, 2008.

 

Altri scritti:

Luci e ombre sul fattore Rh, «Giornale dell'Accademia di Medicina» di Torino, VII, 1946, pp. 1-2

Presentazione, in Betteheim, L'amore non basta, Milano, Ferro editore, 1947, pp. VII-XI

Una vicenda analitica esemplare. «L'uomo dei lupi e le sue vicessitudini», letto al Centro milanese di psicoanalisi, 1975

Relazione sulla prima conferenza della federazione europea di psicoanalisi, «Rivista di psicoanalisi», XXII, 3, 1976, pp. 439-440

The psychoanalyst's way, in «European Psychoanytic Federation Bulletin», 9, 1977, pp. 17-22 (versione ampliata di Come si originano le interpretazioni nello psicoanalista)

Prefazione, in Le malattie croniche e mortali. L'angoscia di morte, a cura di L. Di Cagno, F. Rovetta, Roma, Il pensiero scientifico, 1982, pp. 171-194

Note in margine a un testo: la supervisione analitica, in Itinerari della psicoanalisi, a cura di G. Di Chiara, Torino, Loescher, 1982, pp. 171-194

From an analyst's note-book: Some considerations on writing a paper,  «International Review of Psychoanalysis», 9, 1982, pp. 45-54

Analista e paziente al lavoro: una sonata a quattro mani, letto al Centro milanese di psicoanalisi, 1983

Il supervisore al lavoro [in collaborazione con S. Manfredi Turillazzi], «Rivista di psicoanalisi», XXX, 4, 1984, pp.587-607

Una stagione a Vienna: ma Freud ... era freudiano?, in La cultura psicoanalitica, Atti del convegno, Trieste 5-8 dicembre 1985, Pordenone, Edizioni studio tesi, 1985, pp. 107-133

Del corpo e del genere sessuale dell'analista (intervento alla discussione), in Del genere sessuale, a cura di L. Russo, M. Vigneri, Roma, Borla, 1988, pp. 161-164

Ringraziamento. La supervisione oppure della nonnità, in In due dietro al lettino, a cura di G. Bartoli, Castrovillari, Teda edizioni, 1990, pp. 269-271

Le psychanalyste et le superviseur davant le mirroir: beaucoup de doutes, peu de certitudes, letto alla XXII Conference permanente sur la formation, londra, ottobre 1990, in «European Psychoanytic Federation Bulletin», 37, autunno 1991, pp. 63-83

Presentazione, in C. Neri, L. Pallier, G. Petacchi, C.G. Soavi, R. Tagliacozzo, Fusionalità. Scritti di psicoanalisi clinica, Roma, Borla, 1990, pp. 7-10

Continuity and change in psychoanalysis. Letters from Milan, London-New York, Karnac books, 1992

Prefazione, in A. Ferro, La tecnica della psicoanalisi infantile, Milano, Cortina, 1992, pp. XIII-XIV

Intervista a Luciana Nissim Momigliano di A. Lampignano, «Rivista italiana di gruppoanalisi. Accordi analitici tra individuo e istituzioni», XII, 3-4, 1997, pp. 131-142

 

 

 

 

A. Robutti, Introduzione,  L. Nissim Momigliano, L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, pp. VII- XV.
P. Capozzi, Luciana Nissim Momigliano. Una psicoanalista, «Costruzioni psicoanalitiche», 1, 2002.

T. Levi, Ricordando Luciana, in L. Nissim Momigliano, Ricordi della casa dei morti e altri scritti, a cura di A. Chiappano. Introduzione di A. Cavaglion, Firenze, Giuntina, 2007.

La memoria del bene, intervista di A. M. Guadagni, in L. Nissim Momigliano, L’ascolto rispettoso, op. cit., pp. 279-289.

Valeria Paola Babini
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