Senigaglia Emma

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Emma Senigaglia. [Archivio privato, Dr. Maurizio Pincherle].

Nata: 24 Aprile 1909 (Firenze)

Morta: Febbraio 1991 (Bologna)

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Nata a Firenze il 24 marzo 1909 da Graziano ed Edvige Pincherle, figlia del famoso matematico Salvatore Pincherle, Emma Senigaglia seguì le orme del nonno addottorandosi in matematica presso l’Università di Bologna il 26 luglio 1932 con la tesi, Ricerche analitiche e geometriche sopra la superficie omaloide normale del S9. Nello stesso anno usciva un suo articolo, edito nel «Bollettino dell’Unione matematica italiana», dal titolo, Sulle asintotiche e sulle linee di Darboux delle superficie generiche dello spazio ordinario.
Allieva di Giuseppe Vitali, il quale a partire dagli anni Venti svolse ricerche nel campo della geometria differenziale che culminarono nel trattato Geometria dello spazio hilbertiano del 1929, si interessò di geometria algebrica pubblicando, negli anni immediatamente successivi il conseguimento della laurea, i saggi Completamento di un teorema di A. Hurwitz sulla base del modulo delle forme algebriche passanti per una varietà razionale normale (1933) e Determinazione effettiva di un sistema minimo di quadrighe aventi per intersezione la superficie razionale normale dello spazio a 9 dimensioni (1934).
Fece in tempo a collaborare con il maestro, deceduto nel 1932, in occasione del lavoro Proiettività nello spazio hilbertiano, pubblicato postumo, compilato sulla base degli appunti presi durante un corso da lui tenuto all’università nell’anno accademico 1930-31 e redatti proprio da Emma.
Assistente incaricata presso l’Istituto di matematica dell’ateneo felsineo dal 1935 al 1937, Emma esercitò altresì l’attività didattica come docente straordinaria di matematica presso il R. Istituto tecnico “Rosa Maltoni Mussolini” di Galeata in provincia di Forlì, ove però restò solo per pochi mesi.  
Nel 1938, infatti, a causa delle leggi razziali, che promulgate dal regime fascista privarono i cittadini italiani di origine ebraica dei diritti civili e politici, fu estromessa dall’insegnamento in virtù di un provvedimento che disponeva la cessazione dal servizio «di tutto il personale di razza ebraica organicamente addetto a qualsiasi ufficio od impiego nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, frequentate di alunni italiani». Venne altresì radiata dall’Unione matematica italiana di cui era nel frattempo divenuta socio.
Negli anni seguenti, lavorò nella scuola media israelitica di Bologna frequentata dagli studenti ebrei che erano stati anch’essi cacciati da quelle ordinarie. Si trattava di istituti secondari particolari concessi dal regime a prezzo di numerose limitazioni e da questo controllati tramite un Commissario “ariano”, nominato direttamente dal Ministero dell’educazione nazionale.
A tale riguardo, la risposta della Comunità israelitica bolognese non si fece attendere tanto che già nel novembre 1938, dopo aver organizzato la scuola elementare in un edificio ubicato in via Pietralata 67, erano attivi presso la sede della Comunità, in via Gombruti 19, tre sezioni per l’istruzione media che, inizialmente, accolsero 19 alunni.  Emma fece per l’appunto parte del corpo docente, formato da professori cacciati dalle scuole o dall’Università,  insieme alle colleghe Fausta Milla ed Elena Basilea, esse pure insegnanti di materie scientifiche.
Ben presto, stando alla relazione dell’anno scolastico 1904-41 del preside Ferruccio Pardo, vennero attivati anche un istituto tecnico inferiore; le classi quarta e quinta ginnasiale; il primo  e il secondo anno del liceo classico; il primo di quello scientifico e di un istituto tecnico per geometri nonché la seconda classe della scuola magistrale. L’ostilità del ministero, l’impossibilità di far riconoscere la validità di tutti questi corsi che, di fatto, funzionavano illegalmente, i provvedimenti vessatori dell’Ente nazionale per l’insegnamento medio e superiore fecero, ben presto, precipitare il numero degli iscritti. Gli studenti erano altresì costantemente minacciati da rappresaglie al punto che uno di loro, Giancarlo Sacerdoti, anni dopo rievocò, in un libro di Ricordi, il dolore provato di fronte alla scritta “morte agi ebrei” comparsa proprio sulla colonna del portico da cui si accedeva alla scuola. Con l’avvento della Repubblica di Salò si abbatté la tragedia: la maggior parte di coloro che avevano frequentato la scuola, rammenta ancora Sacerdoti,  furono arrestati, deportati e trucidati ad Auschwitz e Dachau.
Dal canto suo, Emma Senigaglia iniziò con la famiglia, all’epoca formata dalla madre, dalla nonna e dalla sorella Giuliana, un periodo di fuga che durò dall’ottobre del 1943 alla fine del 1945, scandito dalla ricerca affannosa di rifugi che divenivano sempre più precari; dal pericolo di girare con documenti falsi; dal timore delle delazioni; dalla necessità di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento. Montese, un paesino sull’Appennino emiliano, Bologna e i suoi dintorni,  Cesenatico, furono alcune delle tappe di questa fuga favorita da alcuni amici fedeli come Nino Fiorini, che procurò le nuove carte di identità; il medico Ubaldo Gallerani, già aiuto presso la Clinica di pediatria di Bologna di Maurizio Pincherle, zio di Emma; Giuseppe Belardinelli, assistente del nonno Salvatore, il quale, nell’aprile del 1944, si offrì di fornirle false credenziali perché potesse essere assunta come docente in istituto privato di Milano. In realtà, solo Giuliana riuscì a trasferirsi nel capoluogo lombardo; Emma, invece, rimase bloccata con la madre e la nonna a Cesenatico, a causa dei continui bombardamenti che aveva danneggiato le linee ferroviarie del centro-nord dopo la presa di Roma da parte degli alleati nel giugno del 1944. 
Nel frattempo, il pericolo cresceva proprio mano a mano che il fronte anglo americano lentamente avanzava; mentre alcuni reparti di soldati tedeschi si abbandonavano a violenze di ogni genere durante la ritirata.
Infine, il 10 ottobre del 1944, Cesenatico fu liberata ed il pericolo della deportazione definitivamente scongiurato. Lido di Viserba, Riccione, Chiaravalle nelle Marche, Iesi, Assisi, furono le ulteriori tappe di un viaggio intrapreso con mezzi messi a disposizione dal Comando alleato. L’obiettivo era di raggiungere Firenze ove Emma sperava di riprendere i contatti con amici e parenti. Tuttavia i combattimenti, che sugli Appennini proseguivano, fecero tramontare questa possibilità ed Emma decise di rimanere  al campo di raccolta allestito a S. Maria degli Angeli, vicino alla Porziuncola, come segretaria. Non mancarono però notizie confortanti circa la sorte dei cugini Pincherle: Ginetta, che quando era iniziata la persecuzione frequentava il liceo,  era stata accolta e protetta dalla famiglia Salvatores; Mario si era unito ai partigiani; mentre Leo, docente di fisica, era riparato in Inghilterra dove, fin dal 1939, aveva iniziato a lavorare al King’s College di Londra . Quanto agli zii, Gilda e Maurizio, erano entrambi salvi sebbene provati dalla malattia di quest’ultimo, colpito dal morbo di Parkinson che si era manifestato proprio quando era stato costretto a lasciare la clinica pediatrica di Bologna che aveva diretto per quasi un decennio a partire dal 1929.
Nell’aprile del 1945 il provveditore agli studi di Ancona, Rocco Fedele, incaricò Emma di preparare per l’esame di calcolo infinitesimale alcuni studenti dell’Università di Roma che non potevano raggiungere la capitale per la mancanza dei mezzi di trasporto. Era di ritorno da una di tali lezioni quando, il 25 aprile 1945, la raggiunse la notizia che la guerra era finita. Il mese dopo, portato a termini il proprio impegno di lavoro, Emma e la famiglia rientrarono a Bologna nel loro appartamento di via Bagni di Mario. Poco dopo fu reintegrata nella sua posizione di docente proprio in una scuola della città.


«Fra i lavori cui, con singolare fervore, attendeva il compianto Giuseppe Vitali nell’ultimo periodo della Sua laboriosa esistenza, una Memoria, dal titolo: Sulla proiettività dello spazio hilbertiano, era da Lui destinata agli “Annali di Matematica”. Per quanto la redazione non fosse stata da Lui interamente compiuta, pure manoscritti da Lui lasciati, e sopra tutto gli appunti di un corso di conferenze che Egli aveva tenuto presso l’Istituto matematico della R. Università di Bologna nell’anno 1930-31, redatti dalla Sua scolara Sig.na Emma Senigaglia e da Lui riveduti, hanno permesso a questa di darle la presente forma. La introduzione, premessa alla Memoria, era stata integralmente scritta dal compianto Maestro. Pubblicando questo lavoro postumo, la Redazione degli “Annali” intende di appagare un desiderio di uno Scienziato cui la matematica italiana deve un largo tributo di riconoscenza, e, nel tempo stesso, di rendere un doveroso omaggio alla di Lui memoria».
(La redazione, «Annali di matematico pura e applicata», s. IV, 11, 1933, p. 155).

«Tutte le estati la famiglia si riuniva nella vecchia villa al mare di Palombina. Era l’occasione per rivedere i parenti lontani, come quelli che venivano dall’Inghilterra, lo zio Lello, fratello di papà, con la zia Nora  e Ugo, il nostro amatissimo cugino, il nostro mito che, vivendo a Londra, ci portava tutte le novità musicali, sportive ed elettroniche.

Un’altra figura mitica della famiglia era Emma, la nostra prozia, cugina di papà e della zia Ginetta, con la quale arrivava sempre a metà giugno da Bologna, per ripartire, non prima di due mesi, alla fine di agosto. Emma era per noi ragazzi una figura meravigliosa: sempre serena, riservata, ma autorevole ed interessante con i suoi racconti sul passato della famiglia.

Quando arrivava lo zio Lello da Londra (noi lo chiamavamo tutti così, ma il suo vero nome era Leo) ed i due cugini coetanei si ritrovavano (erano nati entrambi attorno al 1910, figli di Maurizio ed Edvige, fratello e sorella, il cui padre era Salvatore Pincherle, il nonno grande matematico) era un vero piacere sentirli parlare il pomeriggio, seduti sulle poltroncine di vimini verdi, all’ombra, sotto il pergolato di vite del Canada, sul retro della vecchia villa.

Emma e Leo erano stati compagni di banco al Liceo Galvani; manco a dirlo erano i primi della classe, ma la zia raccontava che Lello era insuperabile: finiva le versioni in meno della metà del tempo assegnato, utilizzando il restante per ritradurre in greco dal latino, o viceversa e per correggere i rari errori commessi da Emma.

Era proprio un piacere stare ad ascoltarli nei loro racconti ed aneddoti sul nonno Salvatore, che veneravano ancora e ricordavano con grande ammirazione e rispetto. Erano i due nipoti maggiori, da cui il nonno si aspettava grande dedizione alla studio. Loro non lo deludevano, non solo in ambito scolastico, ma anche in altri campi ed in particolare nella musica, che il nonno amava moltissimo, considerandola un’espressione artistica elevata e particolarmente vicina alla matematica. Così Emma al violino, Leo al pianoforte, assieme al nonno ed alla zia Edvige (pianista di professione, molto vicina ad Ottorino Respighi, futuro grande compositore), si divertivano a suonare le arie preferite e particolarmente amate di Mozart e Beethoven.

L’amore per la musica era rimasto intatto e se i due cugini, ormai anziani, non suonavano più, ascoltavano spesso concerti, sia alla radio, che in televisione, od organizzavano gite nei luoghi ove d’estate si tenevano rappresentazioni.

Ricordo che passavo ore il pomeriggio e la sera, dopo cena, ad ascoltarli, a seguire i loro commenti su ogni argomento della cultura, mentre spaziavano dalla filosofia alla storia, alla letteratura italiana, germanica o anglo-americana. Ogni argomento era conosciuto ed affrontato con grande profondità e discusso, a volte anche animatamente, se i punti di vista erano diversi e questo avveniva il più delle volte quando nella conversazione interveniva mio padre, che aveva sempre idee a dir poco originali.

Alcune volte finivano per parlare di fisica, di modelli matematici per interpretare dati scaturiti da nuove osservazioni e allora diventava difficile continuare a seguirli, anche se entrambi erano sempre disposti a spiegare a noi giovani con grande semplicità le teorie più complesse: memorabili furono, tra le tante, le spiegazioni sui neutrini, sui buchi neri, sull’antimateria che noi ragazzi ascoltavamo sempre affascinati e in religioso silenzio.

L’estate del 1975 era quella del mio esame di maturità. Frequentavo il liceo scientifico ad Ancona e mi consideravo abbastanza ferrato in matematica. Ciò nonostante i miei genitori mi consigliarono di chiedere ad Emma di aiutarmi nel ripasso finale e ricordo che quando le telefonai a Bologna lei acconsentì con gioia. Così passammo insieme un bellissimo mese di giugno a Palombina a risolvere decine di problemi delle maturità degli anni passati. Ricordo che ero quasi sempre in grado di venirne a capo e lei si rallegrava vedendo i miei risultati. Subito dopo la consegna del quaderno con la mia risoluzione iniziava la sua correzione, che il più delle volte consisteva nel farmi capire in quanti modi più semplici avrei potuto procedere. Restavo stupefatto nel vederla utilizzare con velocità e sicurezza strategie di una tale semplicità, cui io non ero riuscito a pensare. “La matematica è logica, ordine mentale, armonia….” mi ripeteva disegnando sul foglio figure geometriche ed impostando equazioni, derivate o integrali. Io ero, giorno dopo giorno, sempre più coinvolto e sicuro che avrei ottenuto un grande successo.

Arrivò così il momento dell’esame. I quesiti dello scritto mi sembrarono semplici. Sentivo Emma vicino a me, mi sembrava di ascoltare i suoi consigli ad affrontare il mio compito secondo i suoi insegnamenti. La mia penna volava sul foglio e in meno di un’ora consegnai l’elaborato ottenendo il massimo dei voti.

Negli anni seguenti, quando frequentavo l’università a Bologna, la mia famiglia viveva ad Ancona. Con mio fratello Roberto abitavamo nella casa di viale Dodici Giugno che la zia Ginetta, che in quel periodo stava a Milano, ci aveva affidato. Poco a poco diventò una consuetudine andare tutti i martedì a pranzo a casa di Emma. Ricordo che uscivo da lezione al S. Orsola e correvo in bicicletta in via Castiglione, proprio di fronte al Galvani, dove lei abitava. Viveva in un piccolo, sobrio appartamento al primo piano di una palazzina cui si poteva accedere anche da Vicolo delle Dame dove c’era un’osteria famosa, che a volte frequentavo, in cui la sera era facile incontrare i cantautori bolognesi più noti di quel tempo.

Nel piccolo ingresso c’era il quadro della nonna Emma Morpurgo, prima moglie di nonno Salvatore, mamma di Edvige e Maurizio, morta in giovane età, di cui la zia portava il nome, essendo nata, prima tra tutti i nipoti, solo alcuni anni dopo la sua scomparsa.

Nell’appartamento, molto luminoso, c’era lo studiolo dove Emma dava lezioni di matematica ai tanti ragazzi che ogni pomeriggio si alternavano, ora dopo ora. Qui, oltre all’impianto della filodiffusione, erano custoditi i tantissimi cimeli del nonno, di cui Emma era gelosissima: le targhe, le pergamene, le lauree ad honorem, le chiavi della città di Toronto, le lettere e le fotografie dei grandi del tempo, da Einstein (che il nonno aveva invitato al primo congresso mondiale dei matematici dopo la grande guerra), a Marconi….

Nella saletta dove pranzavamo c’era una moquette color cammello. Dietro al tavolo, una vetrinetta dove la zia teneva gli oggetti d’argento che erano appartenuti nel passato alla famiglia Pincherle, provenienti forse dalla casa di Via del Castello, vicino a S. Giusto, a Trieste, in cui nel 1853 nacque Salvatore. Erano quasi tutti oggetti di significato religioso ebraico, alcuni di un certo valore, come il bellissimo bicchiere in cui era rappresentata la scala del sogno di Giacobbe, che ritrovai tempo dopo esposto alla mostra sull’ebraismo a Palazzo Diamanti a Ferrara.

Finito il pranzo eravamo soliti sederci sulle poltrone accanto al tavolo, dove la zia ci serviva il caffè. Poi restavamo a parlare finché non arrivava qualche studente. A volte erano alunni delle scuole medie, ma altre volte si trattava di studenti universitari prossimi alla laurea in matematica, fisica o ingegneria che venivano a prendere lezioni per perfezionare le loro conoscenze, particolarmente nel campo dell’ analisi più complessa.

Pochi anni prima della sua scomparsa accompagnai zia Emma alle celebrazioni per il “Saecularia Nona” dell’Università. Nell’aula Pincherle, all’Istituto Matematico, davanti al suo busto, si teneva la commemorazione del nonno. Aveva le lacrime agli occhi mentre gli scienziati contemporanei rievocavano il vecchio maestro. Forse si ricordava anche quando, appena laureata, entrò per la prima volta in istituto come assistente, nonostante il nonno non la volesse nel suo insegnamento per fugare ogni ombra di nepotismo. Ricordo l’incontro con i matematici statunitensi, continuatori degli studi di Salvatore Pincherle, la loro deferenza nei suoi confronti, la sua emozione dovuta al non volersi sentire al centro dell’attenzione degli altri, che la sua modestia le faceva considerare immeritata.

Quella sera, tornando a casa lungo Via Zamboni non riusciva più a camminare. La sentivo aggrapparsi sempre più pesantemente al mio braccio. Si scusò per le continue soste che faceva, non per guardare le vetrine dei negozi, ma perché la sua claudicatio intermittens stava aggravandosi. Le dissi che avevo capito e allora lei mi chiese quanto avrebbe potuto ancora vivere in quelle condizioni.

L’ultimo ricordo è del suo funerale: i tantissimi volti amici e quelli sconosciuti a noi nipoti dei suoi allievi di tutte le età; il discorso del rabbino sull’impegno di Emma, sulla sua missione per la formazione delle nuove generazioni, sull’indelebile cambiamento lasciato da lei nel suo passaggio in questo mondo. Per sentirmela più vicina ho cercato di provare a dire una piccola preghiera in ebraico; sapevo che anche a lei avrebbe fatto piacere».

(Ricordo di Maurizio Pincherle)


Sulle asintotiche e sulle linee di Darboux delle superficie generiche dello spazio ordinario, «Bollettino dell’Unione matematica italiana», 11, 1932, pp. 82-84.
Completamento di un teorema di A. Hurwitz sulla base del modulo delle forme algebriche passanti per una varietà razionale normale, «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della classe di scienze matematiche, fisiche e naturali, s. IV, 17, 1933, pp. 66-68.
Determinazione effettiva di un sistema minimo di quadrighe aventi per intersezione la superficie razionale normale dello spazio a 9 dimensioni, «Giornale di matematiche di Battaglini», s. III, 72, 1934, pp. 169-184.
Sul filo dei ricordi (ottobre 1943-ottobre 1945), Firenze, La Giuntina, 1983.


E. Senigaglia, Sul filo dei ricordi (ottobre 1943-ottobre 1945), Firenze, La Giuntina, 1983.
G. Sacerdoti, Ricordi di un ebreo bolognese, illusioni e delusioni 1829-1945, Roma, Bonacci editore, 1983.
N.S. Onori, Ebrei e fascismo a Bologna, Crespellano, Grafica editrice, 1989.
U. Mazzone, “Non è anch’essa una scuola speciale?” Le scuole per ebrei a bologna nei fondi del Provveditorato agli studi, in L’applicazione della legislazione antisemita in Emilia Romagna, a cura di V. Marchetti, Bologna, Il Nove, 1999, pp. 111-119.
A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Torino, Silvio Zamorani editore, 2002, p. 338.
 R. Finzi, L’università italiana e le leggi antiebraiche, Roma, Editori riuniti, 2003.


Sandra Linguerri
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