Servadio Bedarida Lucia

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Lucia Servadio

Nata: 17 Luglio 1900 (Ancona)

Morta: Aprile 2006 (Cornwall on Hudson, New York)

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Lucia Servadio nasce ad Ancona il 17 luglio 1900 in una famiglia di origini ebraiche. Si iscrive alla Facoltà di medicina dell’Università di Roma, dove si laurea nel luglio del 1922. L’anno successivo si sposa con il medico Nino Vittorio Bedarida che ha conosciuto a Torino. Dopo la specializzazione in radiologia conseguita presso l’ateneo romano, comincia a lavorare con il marito presso l’Ospedale torinese. «Era lui, e non io, che doveva riuscire nella carriera e quindi io lo aiutavo negli esperimenti di laboratorio, nelle ricerche in biblioteca, nell’esecuzione degli atti chirurgici» ha raccontato in un’intervista raccolta da Olivia Fincato un mese prima della sua morte. [Fincato, D’Agostin, 2007, p.30]
Nel 1930, in seguito alla nomina del marito a primario del reparto di chirurgia dell’Ospedale civile di Vasto, Lucia si trasferisce nella cittadina abruzzese con le due figlie Paola e Mirella. Una terza figlia, Adria, nascerà pochi anni dopo.
A seguito delle promulgazione delle leggi razziali, Bedarida deve lasciare il suo posto in Ospedale e l’incarico di libero docente in Patologia chirurgica e in Clinica chirurgica e medicina operatoria all'Università di Bologna. Nel 1940 tutta la famiglia abbandona l’Italia per trasferirsi a Tangeri, su invito di un ex allievo del Dott. Bedarida, il Dott. Shakin, anche lui di origine ebraica: «Il dott. Shakin - racconta Lucia - chiedeva se mio marito era disposto ad andare a dirigere una clinica privata, ancora da aprirsi, nella zona internazionale di Tangeri. Tangeri in quel momento era amministrata insieme all’Italia da Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda. I sudditi di queste sette nazioni potevano entrarvi liberamente senza bisogno di visti ed esercitarvi le loro professioni. Uno spiraglio di luce si apriva per noi» [Ibid., p. 18]
E così sarà. La vita in Marocco si rivelerà ricca di soddisfazioni professionali per i coniugi Bedarida. In particolare Lucia, in quanto unica donna medico della zona, guadagna una vasta clientela femminile, nonché una popolarità sempre più ampia: «mi è capitato varie volte di esaminare donne venute da paesetti lontani, magari a dorso d’asino, accompagnate dai loro mariti, le quali mi hanno dichiarato di non essere state esaminate sino ad allora da un medico, e venivano da me solo perché si era sparsa la voce che a Tangeri c’era un brava Tubiba (Tubib è il termine arabo per dottore)». [Ibid., p.25].
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando le due figlie più grandi si trasferiscono negli Stati Uniti per proseguire gli studi, Lucia  raccoglie grandi soddisfazioni e riconoscimenti professionali. Inizia a collaborare con diverse istituzioni, quali il Ministero della sanità marocchino e il consolato italiano a Tangeri, e nel 1957 lavora con l’associazione ebraica «Oeuvre de secours aux enfants», che si occupava dell’assistenza medica degli ebrei perseguitati in Europa. Quando nel 1965, dopo una lunga malattia, muore il marito, Lucia, rimasta sola, decide di rimanere a Tangeri e proseguire la sua opera. Così racconterà la sua esperienza: «con tutti questi incarichi e impegni la mia attività era intensa ma con orgoglio posso affermare di non aver mai considerato la medicina come un mestiere per fare denaro e diventare ricca, ma come uno studio continuo per perfezionare la mia conoscenza e aumentare la mia capacità di curare chi, in cerca di aiuto, a me ricorreva.» [Ibid., p.32]
Collabora con la rivista femminile americana «Journal of american women’s association» e con il giornale spagnolo «Diario España», pubblicato a Tangeri. Si dedica inoltre allo studio della cultura e della storia della medicina araba, e delle sue influenze sul pensiero scientifico occidentale, su cui scrive nel 1967 il saggio L’antica medicina araba e la sua influenza sul pensiero medico moderno.
Nel 1981 raggiunge le figlie che vivono con le loro famiglie negli Stati Uniti. Muore nella sua casa di Cornwall on Hudson nell’aprile 2006 a centocinque anni.


Lucia Servadio Bedarida, che inizia la sua carriera professionale a Tangeri, dove si trasferisce con la famiglia nel 1940 a seguito della promulgazione delle leggi razziali del 1938, viene nominata negli anni Sessanta referente per il Marocco dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalle Nazioni Unite; vi lavorerà per quarant’anni, collaborando con il governo marocchino e diverse istituzioni.

Olivia Fincato ha raccolto l’intervista fatta a Lucia Servadio nel 2006, un mese prima della sua morte, in un volume, Un giorno con Lucia, in cui così la ricorda: «la incontrai qui, nella casa sulle rive del fiume. Aveva 105 anni, parlava cinque lingue correttamente, ma mi disse di non essere mai riuscita a far sua la lingua di quella terra. I teatri, i cinema e le sale da concerto della vicina New York la mantengono viva, ma rimpiange il Mediterraneo. Il blu della sua infanzia e quello della vita di Tangeri. Viaggia, sempre con maggior difficoltà. Torna spesso in Marocco e in Italia, attirata dal ricordo.» [Fincato, D’Agostin, 2007, p.42]

«Ho conosciuto Lucia un pomeriggio d’estate a Palombina. Tutti gli anni passava a fare visita alle amiche Almagià nella loro bella villa liberty posta alle pendici del colle di Barcaglione e da esso degradante in un bosco di pitosforo fino al mare.

            Lucia era nata ad Ancona nel luglio 1900.  Aveva avuto una vita avventurosa e ora che poteva, amava farvi ritorno, amava rincontrare gli amici del passato, o i loro figli, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica anconetana. Tra questi Sisa, Gina e Laura Almagià, Paola Salmoni, Laura Volterra e tanti altri.

            Soggiornava tutte le estati almeno 15-20 giorni a villa Almagià e poi ripartiva per gli Stati Uniti, dove viveva la figlia, o per Londra, o Parigi, dove era ospite di altre amiche e parenti. Era sempre in movimento, Lucia.

            Credo di averla incontrata per la prima volta a metà degli anni 90, quando aveva più o meno 95 anni, che non dimostrava affatto. Era sempre molto curata nell’aspetto e giovanile, tanto che poteva dare l’impressione di una signora di non più di 65 anni.

            Tutte le mattine scendeva in spiaggia, anche quando il tempo non era buono ed il mare era mosso; prima faceva una lunga passeggiata lungo la riva insieme a Sisa, Gina e Laura, soffermandosi con loro sotto gli ombrelloni degli amici e conoscenti come noi; poi entrava inesorabilmente in acqua e partiva, sola, per una lunga nuotata intorno alle scogliere, anche quando le condizioni del mare erano proibitive, mettendo sempre in allarme i bagnini di salvataggio, i quali, se provavano ad avvicinarsi, venivano invitati ad andarsene.

            Ricordo che venne più volte a trovare le zie (Ginetta, Emma, Nora) nella nostra casa di Palombina, ma io solo in un’occasione ebbi modo di soffermarmi più tempo a parlare con lei. Era un pomeriggio piovoso e restammo nella sala interna della villa. La vedo ancora, Lucia, seduta sulla poltrona di stoffa gialla ed io accanto a lei, su di una sedia, a chiederle della sua vita di medico, di donna occidentale che aveva aiutato tante donne come lei a far nascere i loro bambini in un mondo cosi diverso, quale era il Marocco di allora. Come medico dei bimbi ero particolarmente interessato ai suoi racconti che mi affascinavano particolarmente per lo spirito pionieristico che rievocavano e per l’entusiasmo che Lucia emanava ancora a quasi cento anni.  Mi parlò del mio nonno pediatra Maurizio, che aveva conosciuto ad un convegno negli anni trenta, quando viveva in Abruzzo, prima di emigrare con il marito in Marocco, della fuga all’estero, delle difficoltà degli inizi.  Ma mi colpì particolarmente la sua grande apertura mentale riguardo ai problemi di noi giovani medici, la sua disponibilità ad ascoltare e a dare consigli, dai quali emergevano, oltre ad un grande senso del dovere e del servizio, anche un’enorme forza d’animo ed un coraggio non comuni.

            Negli anni seguenti la rividi altre volte, sia a villa Almagià, che in visita a casa nostra, ma nonostante il passare del tempo, non mi parve invecchiata, né fisicamente, né mentalmente. Seppi poi della festa per il suo centesimo compleanno organizzata dalla comunità israelitica di Ancona nella baia di Portonovo, sotto al Monte Conero, dei voli con il deltaplano a 105 anni, di cui lessi anche gli articoli sui giornali.

Recentemente ho ricevuto in regalo un libro su di lei. Ho visto le sue ultime foto scattate nella casa americana della figlia, dove era tornata dopo aver salutato per l’ultima volta la sua città natale e dove ha lasciato il mondo serenamente, in punta di piedi.»

(Ricordo di Maurizio Pincherle)


L’antica medicina araba e la sua influenza sul pensiero medico moderno, 1967

O. Fincato, R. D’Agostin, Un giorno con Lucia, zeropuntozero, (senza luogo di pubblicazione), 2007

Francesca Patuelli
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