Manfredi Teresa

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Frontespizio di «La Chiaqlira» (1742)

Nata: 1679 (Bologna)

Morta: 8 Settembre 1767 (Bologna)

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Maddalena e Teresa Manfredi nacquero, rispettivamente, nel 1673 e nel 1679 in una famiglia della piccola borghesia bolognese. A differenza dei figli maschi che studiarono all’Ateneo, il padre, il notaio Alfonso Manfredi, e la madre, Anna Maria Fiorini, non diedero alle due figlie l’opportunità di ricevere un’istruzione superiore ufficiale. Pare che avessero ricevuto soltanto un’educazione elementare molto tradizionale in un convento di monache terziarie. La dimestichezza di Maddalena e Teresa con l’astronomia, la matematica e il latino avvenne all’interno della famiglia e della cerchia degli amici. La loro casa, infatti, fu tutto tranne che un luogo comune: quando ebbero appena 17 e 11 anni, il fratello Eustachio, appena sedicenne, vi fondò l’Accademia degli Inquieti, dedita alla letteratura e alle scienze sperimentali e mirata a collegarsi con la cultura europea. Oltre a Eustachio, che nel 1699 divenne professore universitario nonché uno dei più noti astronomi europei, anche gli altri fratelli si distinsero per vivacità intellettuale: Gabriele (1681-1761) studiò medicina diventando poi lettore di Matematica e autore di note opere sul calcolo differenziale, Eraclito (1682-1759), pure lui laureato in medicina, fu prima lettore onorario di Astronomia e poi professore di Idrometria, mentre il più giovane Emilio divenne padre gesuita. Tra gli illustri frequentatori di casa Manfredi spiccano il medico Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), il poeta Pier Jacopo Martello (1665-1727), il poeta e naturalista Ferdinando Antonio Ghedini (1684-1768) e il filosofo Francesco Maria Zanotti (1692-1777), in seguito il fisico Francesco Algarotti (1712-1765) e molti altri. Un legame di comunanza particolare li legava alla famiglia del pittore e storico dell’arte Giampietro Zanotti (1675-1765) e le sue figlie Teresa Maria e Angiola Anna Maria.

Nonostante i ruoli illustri che i fratelli Manfredi coprivano nella vita culturale bolognese, le loro cariche istituzionali furono mal pagate, tant’è che, a causa delle ristrettezze finanziarie, soltanto uno di loro, Gabriele, si sposò. La famiglia rimase quindi molto coesa, impegnando fratelli e sorelle nella creazione di un’impresa culturale atta a migliorare il bilancio di famiglia. Così anche Maddalena e Teresa dedicarono le loro forze fisiche e mentali all’amministrazione degli affari di famiglia, alla collaborazione scientifica nei lavori dei fratelli e alla produzione di opere letterarie per il mercato della colta borghesia bolognese.

Nel 1701 tutta la famiglia Manfredi si trasferì nel palazzo del conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), allora impegnato in campagne militari, ma molto desideroso di creare a Bologna un’accademia sul modello dell’Académie Royale des Sciences parigina e della Royal Society londinese. Ricco di esperienze personali, Eustachio diede a Marsili un aiuto fondamentale nella creazione dell’Accademia delle Scienze di Bologna e nella sua impronta decisamente sperimentale. Marsili allestì nella sua casa, tra altro, la specula astronomica, utilizzata dai Manfredi. Nel 1711, quando Eustachio fu nominato astronomo dell’Accademia e si trasferì nella nuova sede in via Zamboni, le sorelle lo accompagnarono.

Con il passare degli anni, pur rimanendo volutamente nell’ombra dei fratelli, Maddalena e Teresa acquisirono una certa popolarità. I loro versi e la loro inoffensiva saggezza godettero di un discreto successo tra la borghesia intellettuale bolognese che amava invitarle a feste ed eventi. Così non era necessario firmare la traduzione del Bertoldo e della Chiaqlira perchè tutti sapevano chi erano le autrici.

Maddalena morì l’11 marzo 1744 a 72 anni; sua sorella Teresa 23 anni più tardi, l’8 ottobre 1767.

Pur non firmando nessuna opera con i propri nomi, le sorelle Manfredi contribuirono in modo notevole a ristabilire fama internazionale agli studi astronomici bolognesi. Fecero parte dell’ampio gruppo di famigliari e amici che cooperavano alle osservazioni astronomiche e ai calcoli matematici delle Ephemerides motuum coelestium (1715) di Eustachio Manfredi (1674-1739), un’opera che per decenni sarà considerata in tutta Europa il più completo strumento per la determinazione astronomica dei siti. Nel manoscritto dell’introduzione Eustachio riconobbe esplicitamente il loro contributo: «Cominciai le Effemeridi di dicembre 1712 in Bologna. Con molti interrompimenti si sono continuate ne' seguenti anni, coll’aiuto delle mie due sorelle Maddalena e Teresa [...]. La tavola delle longitudini e delle latitudini era stata calcolata da mia sorella Maddalena verso il 1702 o 1703». Nel testo a stampa, tuttavia, questa nota manca. L’astronomia dei fratelli e delle sorelle Manfredi e dei loro amici era, nonostante l’elevato livello scientifico e l’avanzata tecnologia, un tipico prodotto “casalingo” settecentesco: le osservazioni furono inizialmente eseguite nella casa di Vittorio Francesco Stancari (1678-1709), poi nella casa dei Manfredi, e con strumenti – fra i quali un cannocchiale di 5 metri e un sestante con mire telescopiche – costruiti da loro stessi. I calcoli, frutto di un lungo e tedioso lavoro, furono per la prima volta sviluppati a tal punto da diventare accessibili anche ai non-specialisti.

Alcuni anni più tardi Eustachio si avvalse della collaborazione delle sorelle anche per eseguire ricerche bibliografiche ed erudite per la stesura della sua Compendiosa Informazione di fatto sopra i confini della comunità ferrarese di Ariano con lo Stato veneto (1735). Tutta la famiglia Manfredi coltivò, inoltre, una passione per la poesia e la letteratura dialettale. Lo stretto nesso tra scienza e poesia era tipico del Settecento. Così non sorprende vedere, quale ulteriore prodotto dell’impresa culturale famigliare, la pubblicazione di opere letterarie per la gente comune, come la traduzione di storielle napoletane in dialetto bolognese e la loro integrazione con canzonette, proverbi, filastrocche e allegorie inedite: Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno in ottava rima aggiuntavi una traduzione in lingua bolognese (1740) e La Chiaqlira dla Banzola o per dir mìi Fol divers tradutt dal parlar Napulitan in lengua Bulgnesa per rimedi innucent dla sonn, e dla malincunj dedicà al merit singular del nobilissm Dam d'Bulogna... (1742). A dispetto di Eustachio, eletto per i suoi versi latini socio della prestigiosa Accademia della Crusca, le sorelle preferivano dilettarsi in dialetto. Anche qui lasciarono però il segno: soprattutto La Chiaqlira divenne il modello per edizioni di opere dialettali e per la trascrizione dei fonemi delle parole. Quantunque i nomi delle traduttrici non apparissero sulla copertina, era generalmente noto che l’opera era di Teresa e Maddalena Manfredi, affiancate dalle giovani sorelle Teresa Maria (1697-) e Angiola Anna Maria Zanotti (1708-). Incoraggiate dal grande successo, due anni dopo uscì la traduzione del Pentamerone di Giovan Battista Basile (1575-1632), un’opera sempre di puro diletto, arricchita di versi divertenti ed ironici.

Secondo Giovanni Fantuzzi, le sorelle Manfredi avevano acquistato «una grande cognizione delle Tavole e dei calcoli astronomici [...] [sicché] i primi due tomi delle Effemeridi si debbono, se non tutti, la maggior parte però alla diligenza e allo studio di queste due calcolatrici» [Fantuzzi, 1786-1789, p. 188].

 

Per Ilaria Magnani Campanacci, la vita delle due sorelle Manfredi è caratterizzata dal senso della misura e dalla concretezza e si collocava tra crescente consapevolezza del proprio ingegno e accettazione del ruolo sottomesso alla figura pubblica maschile: «Appare chiaro da molti indizi, tutti ricavabili oltre che dai dati dei biografi settecenteschi dalle loro rime ... che nella polemica ricorrente di parte maschile contro la donna saputa esse difendono con molta schiettezza e spirito il diritto della donna a far uso dell’intelletto nonostante chi la vorrebbe stupida [...]. Ma respingono anche con fermezza la possibile insinuazione di essere donne sentenziose [...] mostrando con questo di condividere, non sappiamo con quale margine di ironia autoriduttiva, l’opinione negativa dominante sulla donna che fa uno sfoggio indebito e molesto del proprio sapere. [...] In breve, le Manfredi erano la dimostrazione pratica dell’ingegno femminile [...] applicato allo studio non in alternativa ma a complemento degli impegni propri della donna, non in spirito di competizione, ma di stretta e solidale collaborazione con le più eminenti figure di intellettuali dei fratelli dottori» [Magnani Campanacci, 1988, p. 48]

E. Manfredi, Ephemerides motuum celestium ex anno MDCCXXV in annum MDXXL, Bologna, 1725.

 

Traduzione in idioma bolognese di: Bertoldo con Bertoldino e Cacasenno, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1740.

 

La Chiaqlira dla Banzola, traduzione in idioma bolognese del Pentamerone di Giovan Battista Basile, Bologna, 1742.

A. Braccesi e E. Baiada, Proseguendo sulla specola di Bologna: dagli studi del Manfredi sull’aberrazione, al catalogo di stelle dello Zanotti, in «Giornale di Astronomia», 6, 1980, pp. 5-29.

M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 166-178.

G. Fantuzzi, Eustachio Manfredi, in Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna, 1786-1789, vol. V, pp. 188-202.

I. Magnani Campanacci, La cultura extraccademica: le Manfredi e le Zanotti, in AA.VV., Alma Mater studiorum. La presenza femminile dal XVIII al XX secolo. Bologna, CLUEB, 1988, pp. 39-67.

M. G. Pancaldi, Le donne e l’astronomia, in «Orione», 11, 1991, pp. 30-43.

Ariane Dröscher
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