Fonseca Pimentel, Tria de Solis Eleonora

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Ritratto di Eleonora Fonseca Pimentel

Nata: 13 Gennaio 1752 (Roma)

Morta: 17 Agosto 1799 (Napoli)

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Nata a Roma in via Ripetta 22, il 13 gennaio 1752 da Clemente e Caterina Lopez de Leon, di nobile famiglia portoghese, nel luglio del 1760, a causa delle forti tensioni tra la corte di Lisbona e la curia romana, si trasferì con la famiglia a Napoli. Fin da giovanissima Eleonora si fece notare per l’ingegno pronto e vivace nonché per i progressi che faceva la sua educazione affidata allo zio, l’abate Antonio Lopez. Il suo percorso educativo fu quello colto, illuminato e cosmopolita che offriva la Napoli della seconda metà del XVIII secolo ove la necessità di una riforma pedagogica che favorisse il diffondersi di una mentalità scientifica e tecnica, oltre che della cultura classica, si affiancava alla fiducia nell’ingegno delle donne.

Oltre al greco e al latino, imparati con lo zio, studiò mineralogia con Melchiorre Delfico; matematica con Vincenzo De Filippis e Vito Caravelli; chimica con Nicola Maria Falaguerra. La sua cultura nelle scienze matematiche, fisiche e naturali erano al di sopra della media, come dimostrano le parole lusinghiere che le rivolsero i matematici Antonio De Martino e Caravelli, uomini di lettere come Giuseppe Gorani il quale, nel 1789, fece da tramite tra Eleonora e il naturalista svizzero Charles Bonnet.

Lazzaro Spallanzani pare che si avvalesse di frequente della preparazione spiccatamente naturalistica di Eleonora nel corso del suo viaggio nelle due Sicilie allorquando si fermò a Napoli. Fu altresì in rapporti stretti con il vulcanologo Alberto Fortis, col quale ebbe uno scambio epistolare.

Naturalmente, non poteva mancare nel suo curriculum la preparazione letteraria e poetica: compose una serie di poemetti “cortigiani” secondo l’uso del tempo dedicati ai reali, poemetti che le valsero la nomina di bibliotecaria della regina. Secondo l’autorevole giudizio di Benedetto Croce, alcuni di questi poemetti riflettevano un contenuto non di maniera bensì personale e/o ideologico quali quelli, per esempio, per la tragica perdita del figlio di appena due anni; per l’attentato alla vita del marchese Sebastiăo Pombal primo ministro del Portogallo e fondatore dell’Università di Coimbra; per il medico Pean che l’aveva salvata in un aborto.

Ebbe una lunga corrispondenza con Pietro Metastasio all’epoca considerato un vero e proprio maestro della forma poetica e di cui si professò discepola; intorno al 1775 iniziò altresì uno scambio epistolare con Voltaire.

In virtù delle sue qualità poetiche, entrò a far parte di parecchie accademie tra le quali quella dei Filateti e dell’Arcadia.

Nel febbraio del 1778 sposò Pasquale Tria de Solis, appartenente alla piccola nobiltà napoletana e ufficiale dell’esercito. La sua vita familiare fu infelicissima, caratterizzata dalle violenze e dai maltrattamenti del marito: a tale difficile convivenza pose fine il padre di Eleonora nel 1784, dando avvio ad una richiesta di separazione a seguito della quale ella poté lasciare la casa coniugale.

Coltivò altresì con lucida passione le discipline sociali, in particolare gli studi di diritto pubblico e di economia, che costituivano il mezzo tradizionale con il quale la classe colta napoletana partecipava alla vita pubblica del proprio paese.

Delle sue conoscenze di diritto pubblico resta la traduzione nel 1790 di un saggio del 1707 di Nicolò Carovita, celebre avvocato anticurialista, Nullum ius Pontificis Maximi in Regno Napoletano, traduzione che Eleonora corredò con ampie note, commenti, riflessioni tanto da farne un’opera originale capace di dare un contributo aggiornato sulla questione dell’indipendenza del Regno di Napoli dal potere temporale del Papato.

Della sua attività politica negli anni successivi si hanno poche notizie. Infatti, nonostante le testimonianze e le cronache dei contemporanei, risulta assai difficile seguire le vicende dei giacobini napoletani per mancanza di documenti processuali che furono tutti distrutti per ordine del re Ferdinando nel 1803, dopo aver riconquistato il Regno e la città di Napoli. In ogni modo, il nome di Eleonora compariva nell’elenco dei sospettati giacobini già nel 1794-95.

Nell’ottobre 1798 fu arrestata e condotta nelle segrete di Napoli, dove restò fino al giorno della rivoluzione, cioè fino al gennaio del 1799 quando, dopo la vittoria dei francesi e la fuga dei reali, si dischiusero le porte del carcere ai detenuti politici.

Eleonora fece subito parte del comitato centrale che trattò con i francesi la costituzione della repubblica napoletana. Proprio per festeggiare la repubblica, Eleonora declamò, in apertura di una delle prime assemblee, l’Inno alla libertà, purtroppo andato perduto, composto nel castello di Sant’Elmo.

Nel periodo della rivoluzione napoletana del 1799, con la compilazione del “suo” «Monitore» che cominciò a uscire il 2 febbraio, di martedì e di sabato, si anticipava la formula del giornalismo moderno: niente letteratura ma fatti e commenti ai fatti. Da questo punto di vista, come ha sottolineato Benedetto Croce, ella lanciò l’editoriale, ovvero l’articolo di fondo a commento politico quotidiano caratterizzato da informazioni precise, analisi penetranti, forti capacità critiche.

Composto di quattro grandi pagine con supplemento il giornale, la cui chiusura avvenne non molto tempo dopo, ovvero il 5 giugno dello stesso anno, sembra fosse interamente scritto da Eleonora; esso esordì con un grido di giubilo: «siamo liberi in fine, ed è giunto anche per noi il giorno, in cui possiamo pronunciare i sacri nomi di libertà e uguaglianza, ed annunciarci alla repubblica Madre come suoi degni figliuoli; a’ popoli liberi d’Italia ed Europa, come loro degni confratelli» [Fonseca Pimentel, 1799, n. I].

Fra il giugno e l’agosto del 1799, esplose la dura vendetta della reazione borbonica: i francesi furono costretti al ritiro e le truppe di re Ferdinando guidate dal cardinale Ruffo rientrarono a Napoli e impiccarono i patrioti ribelli il 17 agosto. Fra questi, naturalmente, Eleonora Fonseca Pimentel.

Da allora restarono scolpite nella memoria non solo dei napoletani le parole da lei rivolte ai patrioti sconfitti nel numero 23 del suo «Monitore»: «l’Italia resterà una Nazione guerriera, combatterà del ‘suo’, non dell’‘altrui ferro cinta’; si comprenderà la grande verità, che un popolo non si difende mai bene che da sè stesso, e che l’Italia, indipendente e libera, è utile alleata; dipendente, è di peso: perché la libertà non può amarsi per metà e non produce i suoi miracoli che presso i popoli tutt’affatto liberi»[Fonseca Pimentel, 1799, n. XXIII].

 


La fama di Eleonora Fonseca Pimentel è legata al ruolo di patriota che ricoprì durante la rivoluzione napoletana del 1799. Condannata a morte e giustiziata il 20 agosto 1799 dopo la cacciata dei francesi e il rientro a Napoli del re Ferdinando IV di Borbone, assurse a simbolo indimenticabile di martirio e di libertà.

Eleonora seguiva infatti con attenzione gli avvenimenti francesi dell’epoca e, insieme a gran parte del ceto intellettuale riformista, aderì ai principi e all’azione della rivoluzione ricoprendo il ruolo dell’«ardente giornalista» [Croce, 1998, p. 74], la giornalista della Repubblica, con l’edizione e la pubblicazione del «Monitore Napoletano», uno degli esempi più notevoli della nascente stampa politica. Dalle colonne del suo giornale ella si misurò pressoché con tutti i problemi cruciali che in quei pochi mesi dovettero essere affrontati; lo fece con stile semplice, efficace e indipendente.

Eleonora fu altresì letterata ed esperta di scienze fisiche e naturali. Insieme ad altre donne napoletane del Settecento, quali Faustina Pignatelli principessa di Colubrano, Eleonora Barbapiccola e Maria Angela Ardinghelli, si inserì validamente in un circuito nazionale ed internazionale in virtù della sua notorietà scientifica: fu in contatto con naturalisti e scienziati, la diffusione delle novità scientifiche e i reciproci rapporti tra gli intellettuali erano gli argomenti che le stavano più a cuore.

Eleonora, che, nel verde aprile

degli anni vostri, pel sentier non trito

di Minerva movete il passo ardito,

né dumo o sasso arresta il pié gentile,

e i donneschi trastulli avendo a vile,

e ‘l d’amori e piacer calle fiorito,

seguite delle Muse il dolce invito

col già maturo e dilicato stile;

il variar di stato e di stagione

deh non rallenti quel vigor fecondo,

quel di saper desio, che v’è di sprone!

E un dì voi sola mostrerete al mondo,

che nel giugner di gloria alle corone

l’ingegno femminil non è secondo.

[Poesie di D. Antonio di Gennaro, duca di Belforte, Napoli, 1796, I, p. 26]

 

«Colla Repubblica sorsero nel Napoletano i primi giornali veramente politici, e tra quei primi scrittori di giornali va innanzi a tutti una donna, Eleonora Fonseca. “Donna quanto dotta altrettanto pazza, imprudente e sciocca”, la definì un diplomatico dell’ancien régime, che la vedeva tutta accesa delle nuove idee: parole che per noi si traducono facilmente in un elogio. Di famiglia portoghese, nata in Roma, venuta a Napoli giovinetta, ella fu un tipo compiuto di letterato del settecento: poetessa sul gusto metastasiano, studiosa di scienze matematiche e fisiche, di filosofia, di economia, di diritto pubblico. […] anche a lei toccò il carcere alla vigilia del ’99; e, liberata nelle giornate di anarchia del gennaio, si chiuse con gli altri patrioti in Castel S. Elmo, ed ivi tenne a battesimo la nascente Repubblica. Per circa cinque mesi, scrisse il Monitore Napoletano: documento di elevatezza intellettuale e morale, e, qualche volta anche, d’idealistica ingenuità. »

[B. Croce, «Rivista Popolare del Colaianni», 1899]

 

«Eleonora de Fonseca Pimentel non può annoverarsi tra i pensatori e ricercatori originali cui spetta un posto nella storia di una speciale scienza o disciplina. Ma noi troviamo questa nobile tempra di donna sempre in prima linea nelle battaglie intellettuali e politiche dei suoi tempi: nella mente vigorosa di lei si rifletteva la migliore cultura allora viva, e nel suo animo gentile acquistava calore di sentimento ed energia di volontà»

[Croce, 1998, p. 3]

 

 

 


Eleonora Fonseca Pimentel compose una serie di poemetti “cortigiani” secondo l’uso del tempo dedicati ai reali. In particolare: Sonetti di Altidora Esperetusa in morte del suo unico figlio (ristampati a cura di B. Croce, Sonetti in morte del suo unico figlio, Napoli, 1900); Sonetto, in Orazioni e Sonetti nella solenne apertura della Reale Accademia delle Scienze e Belle lettere di Napoli recitata nel dì 5 maggio 1780. 

Scrisse e pubblicò il «Monitore Napoletano», giornale bisettimanale, dal 2 febbraio al 5 giugno 1799, di cui uscirono in tutto 35 numeri.

 

Tradusse dal latino la dissertazione storico-legale del consigliere Nicolò Carovita, celebre avvocato anticurialista, Niun diritto compete al Sommo Pontefice sul Regno di Naopoli (Nullum ius Pontificis Maximi in Regno Napoletano), Napoli, Aletopoli, 1790.

Tradusse dal portoghese l’Analisi della professione di fede del santo padre Pio IV di Antonio Pereira del Figuereido, Napoli, 1792.

Carteggio Eleonora Fonseca Pimentel/Alberto Fortis, Archivio di Stato, Napoli.

 

 



A. Rebière, Les femmes dans la science, Paris, Librairie Nony & Cie,  1897, p. 108.

 

G. Doria, Eleonora Fonseca Pimentel, «Vie Nuove», serie I grandi italiani, XII, 32, 10 agosto 1957.

 

M.A. Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel nella rivoluzione napoletana, Milano, Rizzoli, 1996.

 

Fonseca Pimentel Eleonora, in Dizionario biografico degli italiani, XLVIII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1997, pp. 595-600.

 

B.Croce, Eleonora De Fonseca Pimentel e il Monitore Napoletano, in La rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Bibliopolis, 1998.


R. Simili, In punta di penna. Donne di scienza e di cultura fra cosmopolitismo e intimità meridionale, in La scienze nel mzzogiorno dopo l'Unità d'Italia, Napoli, Rubettino, 2008, pp. 27-89.


Miriam Focaccia
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